di Giovanni Testori
con Andrea Facciocchi
regia Michela Blasi
Compagnia Extramondo
La tragedia di Rino, incestuoso, fratricida e assassino che confessa rabbiosamente i propri delitti e il proprio calvario di espiazione attraverso l’abiezione del carcere, fino alla morte liberatrice dopo una vita vissuta come condanna alla violenza e al non senso. Spogliando spietatamente il protagonista, il dramma scende nel nucleo inattaccabile dell’umano, al marchio del battesimo che ha privato Rino, come tutti, di ogni libertà. Rino uccidendo il fratello minorato scende nel più spaventoso degli inferi e percorre fino in fondo la strada maledetta tracciata dalla sua predestinazione. Qui come in “In exitu”, il capolavoro testoriano già affrontato da Extramondo, il corpo/parola dell’attore diventa assoluto teatrale, decapita ogni finzione scenica ed è unico depositario della tragedia e della sua catarsi.
“… io sento che la parola che scrivo ha bisogno di essere detta, pronunciata.
È come se, messa così, sul libro, non avesse ancora detto quel che ha da dire.
Solo il teatro la libera completamente.”
Giovanni Testori
Scritto da Giovanni Testori nel 1985, Confiteor viene messo in scena la prima volta nel 1986 da Franco Branciaroli e Myrton Vaiani diretti dallo stesso autore. Dopo l’esperienza della messa in scena di “In exitu” nel 1997, con “Confiteor” Extramondo affronta un altro testo emblematico dell’autore lombardo.
Fare Testori non è indolore. A volte non è divertente. Capita di entrare in contrasto con la forma o con i contenuti. A volte, per noi, succede di non condividere. Vuol dire mettersi profondamente in crisi, scardinare tutte le proprie certezze di attore e di regista e cominciare tutto daccapo. Ma ci sono le “parole”.
Comunque e oltre la forma e i contenuti, sono le parole che contengono in sé il senso apocalittico non della distruzione ma della “rivelazione”. Apocalisse come “rivelazione” e come rivelazione di sé. Svelamento, scoperta, natura. Questo, per noi, ha a che fare col teatro e col nostro personale modo di fare teatro.
Extramondo
Il Testori di Extramondo
Note sul lavoro
Scegliendo autori come Thomas Bernhard, Heiner Müller e Giovanni Testori (sono tutti scomparsi negli ultimi anni), abbiamo intrapreso un “dialogo con i morti”. In questo strano luogo abbiamo incontrato “In Exitu” e abbiamo accettato di sfidarne le parole, così difficili, così estreme. Il testo, così come “Confiteor”, senza dubbio richiede che l’attore sia tecnicamente molto bravo, precisissimo e consapevole, con una forte personalità e fisicità. Ma non è sufficiente. Ho chiesto ad Andrea molto di più. Abbiamo usato le parole e il personaggio di Gino Riboldi facendo violenza sui centri nevralgici della psiche dell’attore, creando degli strumenti per aggredire noi stessi, per mettere a nudo ciò che è più intimo. Per far diventare “carne” la parola, l’attore deve annullarsi.
Allora torna ad esistere l’uomo inteso come umanità. Individuo, storia e destino. Con le sue domande e i suoi errori. Il teatro come verbo di Testori richiede un atto totale, fatto di corpo e parola. Bisogna convincere lo spazio e il tempo a partecipare a questo rito. Non assistere, ma partecipare. La disponibilità e il coraggio, che l’autore ha messo in toto nella sua opera, sono richiesti all’attore, sono richiesti al regista, ed erano richiesti a chiunque, raramente, entrasse in sala durante le prove, sia come compagno di lavoro che come testimone. Abbiamo perso compagni per strada, ma sappiamo perché. Questa disponibilità all’esperienza è richiesta anche al pubblico. A volte tutto ciò avviene contemporaneamente, durante lo spettacolo. E si è ripagati di tutto.
Michela Blasi
Molti spettatori, dopo aver assistito a “In exitu” o a “Confiteor” sono stupiti dal grande impegno fisico e vocale che viene richiesto all’attore, sono colpiti perché immaginano che sia enorme la fatica che l’attore debba sostenere. Credo che il mio lavoro non sia diverso da quello di un atleta che si allena quotidianamente per cercare di raggiungere e superare i propri limiti. Ma non basta: la cosa più dura, più difficile e impegnativa è trovare la disponibilità, il mettersi nelle condizioni di iniziare questo “viaggio”. Il donarsi a quelle parole, l’annullarsi, in sostanza il subire quello che io definisco una “violenza”. Farsi carico totalmente delle parole dell’autore, lasciare posto dentro di sé, prestarsi totalmente a un altro. Sentire che non sono più padrone del mio corpo ma che c’è un’altra entità che vive, o meglio, torna a vivere. Non è trance, la definirei piuttosto trance cosciente: so esattamente cosa sto facendo tecnicamente, ma non cerco di controllare, lascio che la vita scorra liberamente. Tutto ciò per me contiene un aspetto tragico, quello della “piccola morte” che avviene ogni volta che vado in scena. Un orgasmo al femminile. Un riempirsi e uno svuotarsi, forse per un uomo l’unica possibilità di sentirsi madre di qualcuno. Per tutto questo ringrazio il teatro, Thomas Bernhard, Giovanni Testori, Heiner Müller e Michela Blasi.
Andrea Facciocchi