Dialogo per una voce solo
di Antonio Tarantino
con Andrea Facciocchi
regia di Michela Blasi
assistente alla regia Daniela Ferrante
foto Gaia de Luca
video Luigi Scarpa
produzione Extramondo
Una storia ispirata a un reale fatto di cronaca, Il vespro della Beata Vergine è un dialogo “per una voce solo”, la voce di un padre – rozzo e intrallazzone – e di un figlio – un travestito da marciapiede – che si fondono nel conflitto e nel tortuoso percorso di reciproca accettazione. Un’idea di trascendenza attraverso lo stupore, l’amore, il mito e i suoi archetipi. Un viaggio in un aldilà immaginato come un Ade greco e affrescato da visioni favolose e allucinate, dove c’è un’occasione unica per poter procedere: la poesia.
“Il Vespro della Beata Vergine” è uno dei quattro atti profani, la “tetralogia delle cure” che comprende anche “Stabat Mater”, “La passione secondo Giovanni” e “Lustrini” i primi testi di Antonio Tarantino, che gli sono valsi il premio Riccione.
La scena è strutturata perché si realizzi un particolare rapporto palco-platea. Gli spettatori in alcuni momenti sono parte integrante dello spettacolo.
“Un padre è venuto a riprendersi il corpo del figlio, morto suicida nelle acque dell’Idroscalo. Nell’attesa che l’autopsia si compia egli rievoca, nell’oscurità di un obitorio, come, nel corso di una tumultuosa telefonata notturna, abbia aiutato – nell’apparenza di assecondarne la follia – quel figlio nell’affrontare e superare gli ostacoli e le trappole del trapasso. Un’estrema decisione genera un’intesa fatale in un linguaggio estremo: capace cioè di sciogliere i nodi di un’esistenza “drammatica” densa di casi arruffati, di accidenti. Ciò che può favorire, al di fuori di ogni liturgia, l’incontro con il mito.
Così, per vie casuali, siccome la poesia è l’occasione, l’eroe perviene a una consapevolezza, sia pur opaca, dell’inevitabilità della tragedia: inevitabilità che domanda l’innocenza dell’eroe, la cui sorte è costretta in un conflitto di forze remote ed estranee. Tali da impedire l’affacciarsi dell’idea stessa di giustificazione. Questo genera in un lui una sofferenza tragica che, se pur non lo redime (da cosa poi?), lo rende partecipe di una favola originaria, di un’identità.”
Antonio Tarantino
Il “Vespro” è un “dialogo per una voce solo”.
La voce del padre e quella del figlio si fondono nella mente, nel ricordo, nel sogno di una sola persona.
Unità di spazio e di tempo che si frantumano nelle infinite possibilità di ritrovarsi nel presente o nel passato, in un altrove sconosciuto e noto insieme.
Un’idea di viaggio nell’aldilà che attraversa tutti gli stati d’animo immaginabili: lo stupore, la paura, l’orrore, l’accettazione, l’amore. E si è coinvolti in tanto amore per l’arte, la poesia e il mito – nel “Vespro” – tanta umanità nel flusso continuo di parole, nella magia dei versi sciolti che Andrea Facciocchi, già apprezzato interprete di monologhi di Testori, Muller, Bernhard e Asmussen, ci vuole comunicare.
… parole che mi riportano alla mia prima infanzia, fine anni 50, la povertà ereditata dalla guerra era ancora ben visibile in ogni parte del nostro paese e il linguaggio quotidiano, quello che si sentiva per strada, a Porta Romana – portava con sé la sofferenza, le difficoltà, le gioie di quel tempo.
Ecco, la scrittura di Antonio Tarantino ha avuto su di me questo effetto, di scaraventarmi come una fionda all’indietro nel tempo, alle mie radici, quelle parole hanno risvegliato in me qualcosa di “arcaico”, di lontano nel tempo. Originalità e bellezza delle parole di Tarantino stanno proprio qui, nella straripante parlata bassa – valga per tutto la vicenda del furto – che non è ricerca linguistica per tentare di dire l’indicibile, ma uno scavo profondo nel nostro passato così lontano ma pur dietro l’angolo.
Così nel modo più naturale questi personaggi – e forse il signor Armonio del “vespro” ne è l’esempio più fulgido – arrivando alla soluzione ultima ci raccontano di una quotidianità intrisa di mistero, sacra rappresentazione, via crucis, auto sacramentali fantasmi memorie sepolte e scolastiche.
E allora dietro l’Idroscalo c’è l’Ade con i suoi unti, la sua storia, le parole, l’occasione di ripensare ad un rapporto con il figlio, ormai morto. La poesia provoca la catarsi soprattutto nel padre che alla fine accetta e accompagna quel figlio nel momento del trapasso.
Che bello sarebbe se la morte avesse questa dignità.
Andrea Facciocchi